mercoledì 29 dicembre 2010

Paolo Nori, Bassotuba non c’è, DeriveApprodi 1999, pp.22-23














Tu dici tanto dietro al cinema, Pasolini, Wim Wenders, alla televisione, e la letteratura, allora? La televisione lasciamola stare, per cortesia. Il cinema, ti
succedono due cose, se vai al cinema. La prima, ti succede che poi ti fanno delle domande. Ti chiedono Hai visto Film blu? Sì, devi dire. Ti è piaciuto, ti chiedono. No, devi dire. Ma dài, ti dicono. Eh, gli dici. A me è piaciuto, ti dicono. Ma dài, devi dire. Sì, ti dicono. Molto bello, ti dicono. Allora tu devi chiedere Hai visto Film rosso? No, ti dicono. No? devi dire. No, ti dicono, l’ho perso. Peccato, devi dire. Dopo ti chiedono Ti è piaciuto Film bianco? Sì, devi dire. Sì? chiedono. No, devi dire, scusa. Ah, ti dicono. Queste conversazioni, si può anche far senza, nella mia vita. La seconda cosa che ti succede quando vai al cinema è che te vai al cinema a vedere un film sulla rivoluzione, vieni fuori che ti sembra di aver fatto la rivoluzione. Allora, dopo, vai a casa come uno che ha appena fatto la rivoluzione. Cosa deve fare, uno che ha appena fatto la rivoluzione? Niente. Va a letto. A riposarsi. Che te ha un bel dire, dopo Scantatevi, che vi stanno sfruttando. Che fate una vita di merda, scantatevi. Quelli ti guardano come se loro fossero Robespierre e Marat. E tu, un deficiente. Ti guardano come si guarda un matto. Loro,
convinti di aver fatto la rivoluzione, pensano che sei tu, il matto. Li senti, come dicono Ho visto il film su Sacco e Vanzetti? Lo dicono come se fossero andati in America a bruciarsi davanti al tribunale, per Sacco e Vanzetti.
E la letteratura?
La letteratura no. La letteratura, ti sveglia. Ti fai delle domande, con la letteratura. Che li ho visti, gli studenti di russo del secondo anno. Si vedeva, da come entravano in facoltà, che avevano appena letto Delitto e castigo. Si vedeva, da come piegavano la testa, che pensavano Ma io, sono un insetto? Cosa farò, io, nella mia vita? Una vita da cimice o da Napoleone? Dopo, di solito, si scordano. Fanno carriera. Al massimo, fondano un cineclub, dopo.

lunedì 27 dicembre 2010

Masticare il mistico

La settimana
enigmastica:
Buon Alka Seltzer
a tutti!





(su QdB di oggi, dove il redattore non ha capito l'enigma del masticare tanto-in un periodo che dovrebbe essere mistico- e "l'enigmastica" è rimasta, banalmente, "enigmistica". Non c'è più rispetto per i calembouristi, sigh)

domenica 26 dicembre 2010

GATTI ANARCHICI

Tra incontri e comizi
emergono umani vizi
strategie e osceni patti.
Sembra incredibile
l’autonomia, lo stile
e la dignità dei gatti.

PURTROPPO

Morto un Papa
se ne fa un altro
… purtroppo.

ANGOLATURE

Essere acuto
con gli ottusi?
Meglio allora
restare muto.

TOGLI LEVI

Oh intellettuale
meridionalista
carlolevista
per migliorarla
la vista
studiati per un po’
almeno Totò.

PER UN CAPOREDATTORE SPELACCHIATO

Oh collezionista di palle di vetro con la neve
dalla voce acuta come quella di Yoghi
tu che sempre confondi
il pubblico col privato
pur essendo nato re
quando canti
sei stonato.



(a un ex caporedattore rai3 che per fortuna ha fatto la valigia)

CHI LA DIURESI LA VINCE

Minzione speciale
a Zanzotto
(sì)
che in una sua poesia
di Conglomerati
chiama "mitto"
far la pipì.

V.Marsilia & C.Missaglia, Come si ride a Napoli! B.C.Dalai editore 2010, pp.144-145











ARRABBIATI CANAGLIA
(Pisano - Cioffi)


Per tre anni ho sopportato
Tutto quel ch'hai fatto a me,
e vivevo innamorato,
genuflesso, innanzi a te.
Ero scemo e non sapevo
Che nel mondo c'esisteva
'na ragazza più graziosa,
più vezzosa, più formosa
e cchiù parpacchiosa e te.

T'è perduto ll'occasione
E mangiate 'o limone...
Teh... teh... teh...

Addò 'o truove un bel maschione?
E mangiate 'o limone
Teh... teh... teh...

'Sta ragazza che ho trovato
è 'na cosa 'a stravedé'...
E po' po' -te te- tèè - mammà ma'
Cierti ccò - cierti cose belle che
non tiene tu
Nfru.

Arrabbiati canaglia
Ca dimane vaie 'o serraglio
Io faccio il matrimonio
E tu vai in manicomio.

Mi mettevi sempre all'uscio,
mi scacciavi... ma perché?
Mi chiamavi coso muscio,
battilocchio, scimpanzé.
Questa invece si fa amare,
mi fa uscire, mi fa entrare,
mi pazzea, mi sciascèa,
mi recrea, sbronzolèa,
e m'ha fatto scurdà 'e te.

T'è perduto ll'occasione
E mangiate 'o limone...
Teh... teh... teh...

Addò 'o truove un bel maschione?
E mangiate 'o limone
Teh... teh... teh...

Arrabbiati canaglia
Ca dimane vaie 'o serraglio
Io faccio il matrimonio
E tu vai in manicomio.

giovedì 23 dicembre 2010

Paolo Nori, Bassotuba non c’è, DeriveApprodi 1999, pp.143-144












... E tu sei una persona sensibile?
Sì. Ma in modo diverso rispetto a come si intende normalmente la cosa. Che quando si dice E’ una persona sensibile, lo si dice in genere con due significati, uno positivo, uno negativo. Quello positivo, significa una persona dotata di una certa acutezza di spirito, uno che capisce le sfumature degli avvenimenti e dei comportamenti senza bisogno di parole o atti inequivocabili. Quello negativo indica una persona debole, incapace di affrontare i problemi che nascono dai rapporti interpersonali.
E tu, invece?
Io, un’altra cosa. Si dice, di uno che ha molto viaggiato o molto studiato, che ha la mente aperta. Ecco, una persona sensibile, secondo me, è una persona che ha il sentimento aperto, che ha una forte reazione sentimentale a quello che gli succede intorno. Questa persona, se vuole vivere in una società, deve imparare prima di tutto a essere flessibile. Perché quando il sentimento è aperto, poi entra di tutto.
Allora, tenere tutto dentro, non si può. Che come ci sono dei pensieri talmente ossessivi che restano nella tua testa ti possono fare impazzire, così ci sono dei sentimenti talmente strazianti che se li tieni dentro ti si apre la pancia. Allora, se sei flessibile, la tua pancia diventa una specie di magazzino, dal quale entrano ed escono continuamente dei sentimenti.
E allora?
Allora quando entra un sentimento, nella tua pancia, ti cambia. E quando esce un sentimento, dalla tua pancia, ti cambia. E sei stato in Russia, che la Russia alcune cose te le insegna, se sei stato in Russia sei tornato indietro con un’idea dell’esteriorità diversa, rispetto a quando c’eri stato. Tu torni indietro che non ti importa di nascondere niente, esteriormente. Se tu vai in Russia, vestirti bene non ha più importanza. Sarà la vodka, saranno i cavoli, non lo so, so che succede così. Allora per quello poi la gente si accorge che cambi, perché cambi sempre e non vuoi dimostrare che non sei cambiato...

mercoledì 22 dicembre 2010

Quesito

Ma come fanno
a tirare avanti
gli astemi?

lunedì 20 dicembre 2010

Michele Mari, Cento poesie d’amore a Ladyhawke, Einaudi 2007














Un esordio sorprendente per una serie di ragioni. E’ il primo libro di versi di un narratore noto (e che ha scritto uno dei più bei racconti che abbia mai letto in vita mia: I palloni del signor Kurz). E’ un canzoniere sull’amore platonico, tanto impossibile quanto intenso, quindi anacronistico ma moderno nello stesso tempo.
E’ un bellissimo libro di poesie uscito in una collana che si dice prestigiosa ma che sforna per lo più dei mattoncini bianchi, noiosi e illeggibili (salvo la sempre fresca Patrizia Cavalli e il felicemente non-poeta Attilio Lolini). Ma quello che cattura il lettore è il modus, lo stile, che come si sa, in poesia è la cosa più importante. Quella cosa che se c’è lo capisci da subito. La voce del poeta, quando c’è, la senti forte e chiara. Il resto è un balbettio sconnesso e presuntuoso.
Compitini per le occasioni familiari. Compleanni, lutti, indignazioni enfatiche sulla guerra. Tutto quel nefasto e tossico pacchetto di inutili e noiosissime lamentazioni “per sperare in un mondo migliore”.
Per fortuna Michele Mari, in queste cento poesie riesce a tenere insieme raffinatezza e leggibilità, romanticismo e ironia, pathos ossessivo e lucidità amara, visionarietà e immediatezza quotidiana. Riesce nel miracolo di rivitalizzare un tema usuratissimo e banalizzato creando un canzoniere dell’amore moderno. E lo fa utilizzando citazioni colte e materiali poveri, inserendo nella sua trama poetica testi e immagini che appartengono al pop (canzonette, cartoni animati, slogan pubblicitari, film, tv). Il risultato è una sintesi felice e vitale.
Un libro godibilissimo. Eccone qualche esempio:
Il nostro fidanzamento è morto// Adesso lo imbalsamo/ poi mi iscrivo a un corso da ventriloquo/ e come Norman Bates/ apro un motel.
Qui è chiaro (e comico) il riferimento al film Psycho di Hitchcock.
I funerali del papa/ e quelli del nostro amore/ si sono celebrati insieme// Se penso/ che m’innamorai di te/ sotto Paolo VI / mi sembra che questa storia duri/ dai tempi di Gregorio VII/ o d’Innocenzo III/ anzi adesso che controllo/ è proprio così.
Qui l’attacco è da cronaca televisiva, con rinculo storico-ironico.
Puntavo sulla paglia o sul legname/ ma dei tre porcellini/ tuo marito/doveva essere quello in salopette con la cazzuola/ perché ho soffiato e soffiato/ ma la tua casa/ non è venuta giù.
Qui c’è tutta la fantasia visionaria dei cartoons.
Ti cercherò sempre/ sperando di non trovarti mai/ mi hai detto all’ultimo congedo// Non ti cercherò mai/ sperando sempre di trovarti/ ti ho risposto// Al momento l’arguzia speculare/ fu sublime/ ma ogni giorno che passa/ si rinsalda in me/ un unico commento/ ed il commento dice/due imbecilli.
Non è magnifica (nella sua rarità) questa chiusa autoironica con sberleffo? A riprova che si può essere struggenti e divertenti insieme. A volte, tra il dire e il fare, c’è di mezzo Michele Mari. Per fortuna.

Viktor Nekrasov, Kira Geòrgievna, Einaudi 1961, incipit

I.

Dopo il terzo o quarto bicchierino si cominciò a discutere d’arte; e la discussione toccò diversi argomenti, finché venne a fissarsi su questo: se possa realmente considerarsi opera d’arte un romanzo o un racconto non pubblicato. Le opinioni erano nettamente divise; chi diceva di sì, chi di no; e ognuno parlava molto convincentemente in sostegno della propria tesi. Ma la più convincente di tutti - o almeno, così le sembrava – era Kira Geòrgievna. Non era lo stesso che un racconto uscisse a stampa o restasse, scritto a mano, in un quaderno da scolaro? C’era, era comparso, era nato, e tanto bastava! Quanta gente poi lo leggesse, non aveva importanza. Poteva anche avere un lettore solo, e quest’uno poteva essere l’autore stesso! L’importante era che fosse stato scritto.

domenica 19 dicembre 2010

Lampadina

Sapessi
com'è strano
vedere Cassano
giocare a Milano.



(su QdB di oggi)

sabato 18 dicembre 2010

Lampadina

TOPOGRAFO:
Una chiavica
di scrittore.

giovedì 16 dicembre 2010

Francesco Piccolo, Scrivere è un tic, I quaderni di Minimum Fax 1994, pag.14












La mia vita consiste ed è consistita, in fondo, da sempre, in tentativi di scrivere... Il mio tenore di vita è organizzato soltanto in vista dello scrivere, e se subisce mutamenti, li subisce perché corrisponda meglio, possibilmente, allo scrittore, poiché il tempo è breve, le forze sono esigue, l'ufficio è uno spavento, l'abitazione è rumorosa e bisogna cavarsela con artifici, quando non è possibile farlo con una bella vita dritta.

Kafka

mercoledì 15 dicembre 2010

Nico Nappa, Afrorismi, Edizioni Samizdat 1995

Il cadavere del pompiere giace sgomento nella camera ardente.

Presentazione antologia Scrittori in cucina, Vasto 17.12.10

La Drogheria Buoncosiglio e l’Associazione culturale Sideshow
presentano:
Venerdì 17 Dicembre ore 18,30
PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI RACCONTI – RICETTE
SCRITTORI IN CUCINA
(jar edizioni 2010)
Saranno presenti le autrici Mascia Di Marco e Francesca Bonafini.
A seguire degustazione di alcuni piatti tipici inclusi nel
ricettario.

domenica 12 dicembre 2010

Roma, Libreria Altroquando, Via del Governo Vecchio, 80, Mercoledì 15 dicembre ore 19.00



Libreria Altroquando , Roma
Nadia Terranova & Francesca Bonafini
vi invitano all'assaggio di:

"Scrittori in cucina
Il libro di cucina degli scrittori moderni"
Jar Edizioni

Presentazione del ricettario-antologia con aperitivo a seguire.

Interverranno le curatrici e alcuni degli scrittori-chef tra cui Mascia Di Marco, Michele Governatori, Daniele Petruccioli, Adriano Petta e Patrizia Rinaldi.

"Abbiamo chiesto sapori antichi per testi contemporanei, perché a interessarci non era solo la ricetta in sé ma la sua traccia nell’Italia del 2010.
Dalle salse all’antipasto ai dolci, passando per canederli di speck e piscistocco ’a gghiotta, un libro unico che coniuga il gusto della cucina con quello della lettura.
Tempi di cottura/lettura per cucinare nel segno della memoria e della fantasia, per chi reputa il cibo un nutrimento non solo del corpo ma anche dell’anima.
Ora tocca a voi mettervi ai fornelli per attraversare l’Italia.
Tra un piatto e l’altro, mentre qualcosa bolle, si raffredda, si macera o si cuoce in forno, mettetevi comodi e gustatevi questo libro.

Gli chef:

Luca Ciarabelli, Lisa Cini, Mascia di Marco,
Maria Franco, Michele Governatori, Francesca Longo,
Fabio Marcotto, Enrico Martinet, Gianluca Morozzi,
Fausto Paravidino, Daniele Petruccioli, Adriano Petta,
Federico Pischedda, Patrizia Rinaldi, Stefano Scalich,
Giancarlo Tramutoli, Luisa Ventola, Cristina Zagaria

vi augurano:
Buon appetito e buona lettura!


Le curatrici:

Nadia Terranova:
classe 1978, siciliana DOP, vive a Roma nel quartiere Pigneto. Ha scritto racconti nell’antologia Quote rosa, (Fernandel, 2007), sulla rivista Linus (maggio 2007), nell’antologia Fiocco Rosa, (Fernandel, 2009), è stata finalista al premio Teramo 2007. Suoi contributi sono apparsi anche nel Segreto delle fragole (Lietocolle, 2007), nell’Enciclopedia degli scrittori inesistenti (Boopen Led, 2009) e nel Libro sui libri. Nove racconti sull’esperienza della lettura (Lupo editore, 2010). Fa parte del gruppo letterario I libri in testa.


Francesca Bonafini:
nata a Verona nel 1974. Nel 2008 è uscito il suo primo romanzo, Mangiacuore (ed. Fernandel). Ha collaborato a progetti musicali e scritto testi di canzoni, pubblicato racconti su riviste, quotidiani e varie antologie tra cui Quote rosa (Fernandel, 2007), Dylan revisited (Manni, 2008), Dizionario affettivo della lingua italiana (Fandango, 2008), Fiocco rosa (Fernandel, 2009), Corpi d’acqua (Voras, 2009), Fobieril-soluzione maniazina (Jar, 2009).

Lampadina

Quando sento
la parola
“narrazioni”
ho come
un giramento
di … dobloni.


(su QdB di oggi)

sabato 11 dicembre 2010

Lampadina

Caso Parmalat:
per Tanzi
una condanna
a lunga
conservazione.



(pubbl.oggi su QdB)

venerdì 10 dicembre 2010

Daniele Benati, Silenzi in Emilia, Quodlibet 2009, epigrafe














Sgnor, s'eg sii,
(Signore, se ci siete)
Fé che la me alma, s'ag l'ò,
(Fate che la mia anima, se ce l'ho)
La vaga in Paradis, s'al ghé
(Vada in Paradiso, se c'è).


Lo diceva il fratello di mio nonno.

Alessandro Piperno, Persecuzione, Mondadori 2010, incipit










Era il 13 luglio del 1986 quando un imbarazzante desiderio di non essere mai venuto al mondo s'impossessò di Leo Pontecorvo.
Un attimo prima Filippo, il suo primogenito, era alle prese con la più gretta delle lamentazioni infantili: contestare l'esigua quantità di patatine fritte che la madre gli aveva fatto scivolarenel piatto a fronte dell'inaudita generosità mostrata verso il fratello piccolo. Ed ecco un istante dopo l'anchorman del tg delle venti insinuare, al cospetto di un considerevole spicchio di nazione, che il lì presente Leo Pontecorvo avesse scambiato lettere depravate con la ragazza del suo tredicenne secondogenito.

giovedì 9 dicembre 2010

A lavoro ci devo comunque andare, Altrimedia edizioni 2009, pp.11-12











Elogio dell’impiegato onesto
nei tempi della crisi globale


Da secoli, l’impiegato è stato vilipeso, umiliato e offeso. E’ stato sempre scelto come esempio fulgido del fallimento. Il simbolo della più bieca mediocrità. La mezzamanica, per l’appunto. La figura professionale antitetica all’imprenditore, all’intraprendenza manageriale, al talento del self-made man. L’impiegato condannato ad un’esistenza priva di soddisfazioni, di slanci, d’inventiva. L’uomo senza qualità. Quello che si adegua. Piega la testa. Quello che ha una specie di perversa vocazione alla sottomissione. Se non al servilismo. E al masochismo. Dici impiegato e ti vengono in mente certe untuose figure dostoevskijane con capelli radi ma con molta forfora sulle spalle di giacche sdrucite. O la tragicomica icona del rag. Fantozzi. O l’archivista capo interpretato da Totò in Totò e i Re di Roma (tratto da due racconti di Cechov, Morte di un impiegato ed Esami di promozione), dove uno starnuto che da un loggione colpisce il suo capo in platea crea una catastrofe nella sua già grama esistenza impiegatizia.
Ma in questi tempi di crollo globale del più cinico capitalismo, fa quasi piacere, sul piano etico, questa crisi che almeno ci libererà dal superfluo, sperando non ci manchi mai il necessario.
C’è quasi un riscatto apocalittico dell’impiegato, intendiamoci, di quello onesto, che lavora, che è gentile col pubblico, che non abbaia, che non si lagna, che non è entrato col solito calcinculo (che, fateci caso, quelli che entrano così, poi si comportano sempre peggio), insomma l’impiegato affezionato alla sua tranquilla routine che gli permette magari anche di coltivare i suoi interessi (passeggiare, leggere, dipingere, andare in bici), proprio perché può contare su tempi liberi certi, non raggiungibili da telefonate che implicano un suo qualche ruolo di responsabilità.
Insomma l’impiegato, pur in una condizione di sudditanza, può, paradossalmente, contare su spazi di libertà superiori a quelli dei suoi capi, stritolati dallo stress dell’ambizione, della carriera, della responsabilità. Che porta ad avere la casa al mare e in campagna. A farsi la settimana bianca a Cortina. Ad avere tutto il repertorio materiale degli status symbol, ma pure, spesso, una vita impossibile. Il riscatto dell’impiegato, secondo me, è cominciato in letteratura con lo scrivano Bartleby di Melville. Quello che a domanda rispondeva sempre: Preferirei di no. Quello che manifestava così una mite ma estrema resistenza ad entrare nell’ingranaggio delle false ambizioni e delle parvenze non valide, giusto per citare Moravia e Gadda, che fa sempre figo in una nota come questa. Ecco questa crisi globale, se gli sopravviveremo, segnerà la rivincita di tutti i travet, dalle strisce di Bristow all’epopea di Fantozzi. La vendetta del saggio accontentarsi di una vita fatta di abitudini rassicuranti rispetto alla nevrosi dell’accumulare più roba che vita interiore. Direbbe Totò: M’impiego ma non mi spezzo. E a prescindere. Ovviamente.

A lavoro ci devo comunque andare, Altrimedia edizioni 2009, pp.123-124










La cassa acustica

Sto qui, nel mio box. Sento un cd rarefattissimo, Insen di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto. Per questo chiamo la mia cassa, sportello n.3, la cassa acustica. Posso sentire la radio (ovviamente radio Capital, perfetta per una banca) e il pomeriggio Fahrenheit su radio 3. Non interferisce col mio lavoro. Anzi. I clienti apprezzano e a volte chiedono consigli e cd in prestito.
C’ho messo anni per guadagnarmi questa postazione. Questa finestra sul mondo antropologico. Tipi, caratteri, psicologie, casi umani, tic del linguaggio e della comunicazione. Ho fatto un percorso da gambero. Rinculando rinculando (e scusate l’espressione un po’ forte) son partito da stenotipista alla sede centrale di via Veneto a Roma e poi in segreteria, a Potenza, quindi addetto al portafoglio, all’estero e alle partite sospese e agli insoluti. Fino alla cassa.
Che terrore avevo della cassa. I primi giorni mi sentivo un manichino in vetrina. Più lo schifo di toccare le banconote. La paura di sbagliare.
Poi pian piano, coi mesi, mi sono abituato (ci si abitua a tutto, no?). Ho pensato a quanti soldi ho risparmiato, soldi che avrei dovuto dare ad uno psicanalista, perché un autistico tendenziale come me, introverso, non comunicativo, un orso (anche se sono glabro) è stato da un giorno all’altro, e in mezzo del cammin di sua vita, costretto a stare di fronte alla gente, come si di-ce. Cioè di fronte a chiunque, qualsiasi tipo di persona, di soggetto.
Strano, cafone, gentiluomo, giovane, anziano, profumato o non proprio. Cortese, stupido, diffidente, arrogante, onorevole o affascinante. Belli e brutti. Io che ho sempre usato un metodo così selettivo che io stesso, se m’incontrassi, mi darei del rompi-cazzi. Incassare subito, non solo i soldi ma i rimproveri o i complimenti, le antipatie o le simpatie, a seconda di come ti comporti. Capire con concretezza immediata la verità del detto cristiano: Dai e ti sarà dato.
Insomma un’esperienza che m’ha costretto ad uscire dalla mia comoda tana. A guardare e a farmi guardare. Ed ora eccomi qua. Da quando ho la radio, sto benissimo. I clienti mi conoscono quasi meglio dei parenti. Sanno pure che scrivo, e spesso sono miei lettori.
E mi viene da ridere pensando allo stress dei carrieristi. Entrano in una macchina che pian piano, mentre li fa un po’ più ricchi (ma manco poi tanto), li stritola.
Io, invece, sono un travet sempre più tranquillo.
Quando esco alle 17 e 30, vado ogni giorno in ferie. Il mio prezioso tempo libero, sicuro e definito, sta lì che m’aspetta.
E quando non ci son clienti davanti, posso anche scrivere, come sto facendo. Adesso.

mercoledì 8 dicembre 2010

Wislawa Szymborska, Posta letteraria, Ossia come diventare (o non diventare) scrittore, Libri Scheiwiller 2002, pag.27












Ula, Sopot

La definizione di poesia in una frase - mah. Ne conosciamo almeno cinquecento, ma nessuna ci sembra sufficientemente esatta e al tempo stesso esaustiva. Ognuna esprime il gusto della propria epoca. Uno scetticismo innato ci trattiene dall'arrischiare un'ulteriore definizione. Ci siamo però ricordati un bell'aforisma di Carl Sandburg:" La poesia è un diario scritto da un animale marino che vive sulla terra e che vorrebbe volare". Può bastarLe?

martedì 7 dicembre 2010

Immacolata Concezione

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domenica 5 dicembre 2010

Temporali, ZeroZeroSud 2002, pag.95













Mai scrivere versi
quando stai giù
quando sei davvero stanco
che versi depressi ti verranno
e i lettori giustamente
ti malediranno.

sabato 4 dicembre 2010

Lampadina

Gentiloni
e Fioroni:
una vita
negli slip
di Veltroni.



(su QdB di ieri)

L'ultimo Tram, Manni 2009, pag.77












Zingarata


Lessi al mio gatto
una pagina
di un romanzo gitano.
Cominciò a farmi le fusa
facendo: Rom Rom Rom.

giovedì 2 dicembre 2010

Lampadina

La Binetti
ogni volta
che parla
mi fa
visualizzare
gabinetti e
vecchi merletti.


(su QdB di oggi)

mercoledì 1 dicembre 2010

Nico Nappa, Afrorismi, Edizione Samizdat 1995

*
Esiste un'altra vita? E se dovesse esistere, me la potrò permettere?

*
Per evitare l'Aids mi hanno consigliato di sottrarmi ai rapporti occasionali. Ho smesso di fare l'amore con mia moglie.

*
Vede tutti i lati del problema, ma non il problema.