venerdì 23 luglio 2010

Si ricomincia da qui


Come si leggono i libri: Un rito, un'ossessione, una terapia, una dannata consolazione.

di Giancarlo Tramutoli


Leggere è come pregare. Lo faccio appena posso. Leggere, dico. Se sono a casa leggo a letto, preferibilmente. Per questo si chiama letto, secondo me. O per strada (il libro diventa un volante), sulle scale mobili, su una panchina o in un bar nella pausa pranzo, sulla spiaggia, aspettando il mio turno alla usl o alla posta. Mi stupisco sempre quando c’è da aspettare che quasi nessuno si liberi dalla noia leggendo. Posso dirlo con certezza, specie quando la fila la guardo dal mio posto privilegiato di cassiere di banca. Niente. Manco un fumetto, un quotidiano, un magazine, un depliant pubblicitario, un bugiardino, non dico la Bibbia in sanscrito. Son tutti concentrati e tesi a far la fila e a incazzarsi se l’altra va più veloce, che come dice l’implacabile legge di Murphy sulle file: “L’altra è sempre più veloce, anche se la cambi”. Beh, peggio per loro...

Ma da un po’, da quando scrivo stroncature per Fernandel, mi tocca leggere con uno stato d’animo (come si diceva nell’ottocento) dico, uno stato d’animo paradossale. Intanto vado in libreria e chiedo consigli su qualche libro veramente brutto che è uscito, che è sempre più difficile da trovare, non dico un libro brutto, ma un libro che abbia una sua particolare bruttezza. Direi, quella bruttezza stimolante, che sia urticante, presuntuosa, grottesca, involontariamente comica. Il libro cioè che sia giusto per attaccarlo senza pentimenti e con un certo humour, sperando ne esca pure un pezzo divertente per il mio affezionato lettore.
Per far questo, a parte che devo individuarlo, acquistarlo. Leggerlo con la giusta attenzione. Fare perfide annotazioni. Vado avanti sperando che dopo un attacco neutro, non mi deluda... che cioè peggiori, non dico di botto, ma almeno lentamente e inesorabilmente. Invece quasi sempre si mantiene in quel grigiore medio-basso, si aggrappa a un minimo di dignità che non dà nessun appiglio alla mia cattiveria.
Mi tocca tornare in libreria, acquistare un altro libro e così via. Ho qualche consigliere, ma la sua idea di bruttezza non sempre (quasi mai) coincide con la mia.
(Meno male che su un Magazine posso scrivere anche di quello che mi è piaciuto che questo dà alle mie letture il giusto equilibrio tra gioia e noia).

Tra le cose che leggo però, la maggior parte resta in quella zona grigia inutilizzabile. Né bella né brutta. E quando si avvicina il giorno della scadenza, mi viene quel panico da pre-esame, mi butto su libri piccoli, o son costretto a fare finte stroncature, dove parlo più dei pregi che dei difetti. Questo per essere onesti. Che quella è la prima condizione sine qua non, come si dice. Il resto è il puro piacere masochistico di farsi dei nemici. Attaccando soprattutto i più forti. Quelli che vincono tutti i premi, che stanno mesi in classifica, a costo di passare per invidioso. Ma si sa che si può invidiare il talento non il successo immeritato.
Ah, ovviamente, se non ho nessuno in fila, davanti a me, leggo qualche rigo anche nel mio box, pagine scaricate da qualche sito letterario, cose brevi, aforismi, poesie, magari ascoltando Fahrenheit dove si sta parlando proprio del romanzo di cui mi sto occupando. Per fortuna leggere, è un gioco che non finisce mai. Infatti ora vado a rileggermi ’sta cosa che ho scritto.