sabato 31 luglio 2010

Johan Harstad, Che ne è stato di te, Buzz Aldrin? - Iperborea 2008















pag.79

Parole crociate. Caffè. Conversazione. Casa. Ma io non appartenevo più a questo luogo. Come tornare nella tua vecchia scuola elementare, sederti in un banco vuoto durante una lezione, con le ginocchia che picchiano contro il ripiano basso e tu che non puoi prendere davvero parte a quello che ti accade intorno, i manifesti che avevi attaccato al pannello di sughero sono stati tolti da un pezzo, i compiti già tutti fatti.

Art.1 della Sana e Robusta Costituzione

Chi
furbo
fosse
fesso
si faccia.

Ognuno è responsabile della sua faccia

Minzolini
dovrebbe
chiamarsi
Servolini.

venerdì 30 luglio 2010

Temerario: evasore fiscale

Fisco.
L'unico nero
che emerge
in Italia
è Mario Balotelli.

mercoledì 28 luglio 2010

Lo sballo obbligatorio


Ogni domenica, mi tocca sentire al tg di pranzo, quanti giovani si son schiantati all’alba dopo l’obbligatoria notte di alcol, droga, sesso e rock & roll. Penso: poveri giovani disperati, senza un lavoro (ma i soldi per lo sballo obbligatorio del sabato sera, chi glieli dà? La borsetta di mammà o il portafoglio di papà?), ma soprattutto senza idee, passioni, interessi. Poveretti. Gli tocca andare a schiantarsi da qualche parte col macchinone di papà (sempre lui, quel rompicoglioni). Poveri giovani tutti uguali: stessi orecchini, stessi tatuaggi, stesse griffe, stesso conformismo ebete.

Mi dispiace, per questi poveri giovani che non sanno come ammazzare il tempo. Mi dispiace non riescano neanche a ferirlo leggeremente. Il tempo. Però mi dispiace di più per i poveri alberi contro cui vanno a sbattere. Di più mi dispiace, per quei poveretti che tornano a casa nella loro utilitaria dopo un turno di notte, o dalla gita familiare al mare. Che se li trovano di fronte quei poveri giovani strafatti che decidono che anche la vita degli altri non vale nulla. Questi poveretti che invece di buttarsi da un ponte bisogna compiangerli che poveretti, hanno la società contro. Gli spacciatori che gli vendono roba tagliata invece che pura. Nessuno che li ficca in un posto fisso con un bel calcio in culo. Ma in tasca c’hanno il cellulare all’ultimo grido. Poveretti senza più un neurone in testa. O forse uno ce l’hanno ancora. Come in quella pubblicità della particella di sodio. L’unico loro neurone che gli bussa nel cervello: Ehi? C’è nessuno? C’è nessuno?

Giancarlo Tramutoli

venerdì 23 luglio 2010

Si ricomincia da qui


Come si leggono i libri: Un rito, un'ossessione, una terapia, una dannata consolazione.

di Giancarlo Tramutoli


Leggere è come pregare. Lo faccio appena posso. Leggere, dico. Se sono a casa leggo a letto, preferibilmente. Per questo si chiama letto, secondo me. O per strada (il libro diventa un volante), sulle scale mobili, su una panchina o in un bar nella pausa pranzo, sulla spiaggia, aspettando il mio turno alla usl o alla posta. Mi stupisco sempre quando c’è da aspettare che quasi nessuno si liberi dalla noia leggendo. Posso dirlo con certezza, specie quando la fila la guardo dal mio posto privilegiato di cassiere di banca. Niente. Manco un fumetto, un quotidiano, un magazine, un depliant pubblicitario, un bugiardino, non dico la Bibbia in sanscrito. Son tutti concentrati e tesi a far la fila e a incazzarsi se l’altra va più veloce, che come dice l’implacabile legge di Murphy sulle file: “L’altra è sempre più veloce, anche se la cambi”. Beh, peggio per loro...

Ma da un po’, da quando scrivo stroncature per Fernandel, mi tocca leggere con uno stato d’animo (come si diceva nell’ottocento) dico, uno stato d’animo paradossale. Intanto vado in libreria e chiedo consigli su qualche libro veramente brutto che è uscito, che è sempre più difficile da trovare, non dico un libro brutto, ma un libro che abbia una sua particolare bruttezza. Direi, quella bruttezza stimolante, che sia urticante, presuntuosa, grottesca, involontariamente comica. Il libro cioè che sia giusto per attaccarlo senza pentimenti e con un certo humour, sperando ne esca pure un pezzo divertente per il mio affezionato lettore.
Per far questo, a parte che devo individuarlo, acquistarlo. Leggerlo con la giusta attenzione. Fare perfide annotazioni. Vado avanti sperando che dopo un attacco neutro, non mi deluda... che cioè peggiori, non dico di botto, ma almeno lentamente e inesorabilmente. Invece quasi sempre si mantiene in quel grigiore medio-basso, si aggrappa a un minimo di dignità che non dà nessun appiglio alla mia cattiveria.
Mi tocca tornare in libreria, acquistare un altro libro e così via. Ho qualche consigliere, ma la sua idea di bruttezza non sempre (quasi mai) coincide con la mia.
(Meno male che su un Magazine posso scrivere anche di quello che mi è piaciuto che questo dà alle mie letture il giusto equilibrio tra gioia e noia).

Tra le cose che leggo però, la maggior parte resta in quella zona grigia inutilizzabile. Né bella né brutta. E quando si avvicina il giorno della scadenza, mi viene quel panico da pre-esame, mi butto su libri piccoli, o son costretto a fare finte stroncature, dove parlo più dei pregi che dei difetti. Questo per essere onesti. Che quella è la prima condizione sine qua non, come si dice. Il resto è il puro piacere masochistico di farsi dei nemici. Attaccando soprattutto i più forti. Quelli che vincono tutti i premi, che stanno mesi in classifica, a costo di passare per invidioso. Ma si sa che si può invidiare il talento non il successo immeritato.
Ah, ovviamente, se non ho nessuno in fila, davanti a me, leggo qualche rigo anche nel mio box, pagine scaricate da qualche sito letterario, cose brevi, aforismi, poesie, magari ascoltando Fahrenheit dove si sta parlando proprio del romanzo di cui mi sto occupando. Per fortuna leggere, è un gioco che non finisce mai. Infatti ora vado a rileggermi ’sta cosa che ho scritto.