martedì 11 gennaio 2011

J. Rodolfo Wilcock, Il reato di scrivere, Adelphi 2009, pp.29-30












Frasi come “Oggi mi sono alzato tardi” oppure “Proprio davanti a casa sono caduto per strada” sono già un racconto. In questa che è la sua forma più elementare, la narrativa non può scomparire, finché la lingua esiste; parlare quindi della morte del romanzo significa accennare, molto metaforicamente, alla possibilità, sempre presente, di una modificazione sostanziale di stile, tale da far credere che il romanzo, così come l’abbiamo conosciuto noi, sia momentaneamente scomparso. La sua essenza, invece, non può essere intaccata da alcuna moda, perché il romanzo, non appena si sente minacciato, ritorna alla sua condizione originaria di racconto...
Ma il desiderio di raccontare qualcosa è la condizione indispensabile, condizione che molti tendono a dimenticare. Non se ne può fare a meno: senza questa condizione non c’è romanzo, soltanto vaniloquio. Nemmeno i più audaci astrattisti del romanzo hanno potuto ignorare il fatto che qualcosa dovevano raccontare... Quindi, stabilito che romanzo è uno scritto nel quale si racconta qualcosa, e che se questo qualcosa manca non c’è romanzo, non resta molto da discutere... Il piacere di raccontare sta nel piacere di raccontare.

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