venerdì 21 ottobre 2011
il grande Philip Roth
Una ragazza in effetti c’era. Non era ancora in ballo, però ci avevo già messo gli occhi sopra. Era una studentessa del secondo anno che come me si era appena trasferita a Winesburg, pallida e snella, con capelli castani scuri e un modo di fare che m’intimidiva per come mi pareva distaccato e risoluto. Seguiva le mie stesse lezioni di storia americana e a volte sedeva proprio accanto a me, ma non volendo correre il rischio di sentirmi dire di lasciarla in pace, non avevo trovato il coraggio di farle neppure un cenno di saluto, e tanto meno di parlarle. Una sera la vidi in biblioteca. Ero seduto a una scrivania al piano rialzato che si affacciava sulla sala di lettura; lei era a uno dei lunghi tavoli di sotto, e prendeva diligentemente appunti da un testo di consultazione, Due cose mi ammaliarono. Una era la scriminatura fra i suoi deliziosi capelli. Non ero mai stato così vulnerabile alla scriminatura fra i capelli di una ragazza. L’altra era la sua gamba sinistra che, accavallata sulla destra, dondolava ritmicamente su e giù. La gonna le arrivava a metà polpaccio, come si usava, ma da dov’ero seduto riuscivo comunque a contemplare sotto il
tavolo l’incessante movimento di quella gamba. Restò lì a quel modo per almeno due ore, prendendo appunti senza mai interrompersi, e per tutto quel tempo io non feci altro che osservare il modo in cui i suoi capelli erano divisi da una linea netta e regolare e il modo in cui quella gamba non la smetteva di muoversi su e giù. Mi domandavo, non per la prima volta, che sensazione dava a una ragazza muovere una gamba a quel modo. Lei era concentrata sullo studio, e io, con la mente di un diciottenne, ero concentrato sul desiderio di infilarle una mano sotto la gonna. Il forte impulso di correre in bagno era tenuto a bada dalla paura di essere sorpreso da un bibliotecario, da un insegnante o addirittura da uno studente ri-spettabile, venire espulso e finire in Corea come fuciliere.
(Philip Roth, Indignazione, Einaudi 2009, pag. 31)
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